
Il 12 febbraio 2012 ero stata invitata alla manifestazione letteraria “Ritratti di poesia”, a Roma. Non avevo un libro edito con me ma qualche poesia da leggere. Poesie che parlavano di animali e natura e che solo dopo qualche anno sarebbero confluite nel mio libro Le notti aspre. Parlare di animali, negli ultimi anni della mia vita, è stata ed è la cosa che mi viene più naturale: rappresenta una sorta di veicolo ai sentimenti. La gioia, il dolore, la commozione, la ferocia e lo stupore non hanno più filtri. Vedo l’uomo e vedo me. In questo mondo parallelo e così vicino, in effetti, gli animali sociali danno il massimo per garantire una vita e un ambiente migliore ai loro figli fin dalla nascita, tranne l’uomo.
Mi trovavo un po’ spaesata in Piazza di Pietra. Mi guardavo intorno sperando di riconoscere qualcuno, pur avendo studiato a Roma ormai non ci venivo da diverso tempo. Era una splendida giornata di febbraio e, non so se io ho notato lui spaesato tipo me, nonostante fosse di casa o lui ha notato il mio disagio, ma io e Marco Petrella ci siamo venuti incontro con una frase del tipo:- anche tu al festival?- Dire che siamo diventati immediatamente amici forse è troppo ma sicuramente ci siamo stati simpatici e nell’attesa abbiamo preso un caffè come se ci conoscessimo da tempo. A noi si è poi unito Filippo Golia, amico di Marco: anche lui sarebbe diventato un amico. Marco mi ha detto che avrebbe accompagnato le letture degli scrittori improvvisando dei disegni. Questo fu il mio, ero io in tutti i sensi.
La parola, così nella poesia, come nella prosa, per me è l’essenzialità, la ricerca del termine più esatto, un tratto distintivo che non contempla troppe linee. Mi piaceva quel tratto distintivo, quell’essenzialità pacata e, se necessaria, graffiante di Marco. Colorata e, se necessaria, in bianco e nero. Così ci siamo salutati, lui è ripartito con la sua immancabile vespa per casa e io sono tornata nelle Marche dove vivo tutt’ora. Non avevamo in mente di fare un libro, non credo che siamo due persone che guardano a lungo termine, forse un po’ indolenti…: ma una balena ci ha unito definitivamente. Ci ha colpito la sua solitudine, la sua voce inascoltata: io l’ho scritta e lui l’ha disegnata, diventando viva.
Pian piano, negli anni, altri animali hanno preso corpo. Mandavo il brano a Marco e a me, vederlo prendere vita, mi faceva sentire una bambina, una bambina che magari non ha voglia di leggere ma guarda le figure e immagina altre storie ed altri mondi. Dal paese in collina dove vivo, mi capita spesso di imbattermi in animali veri o sognati: a volte gli mandavo direttamente delle foto:- “Guarda Marco chi ho incontrato stamattina, il cane bianco dei pastori. Era triste, assorto nella nebbia, sembrava un grande filosofo”.
Pensavo alla sua vita, alla sua storia e questa magari aveva bisogno di essere raccontata attraverso le parole che, da sole, si predisponevano in una forma di prosa o di poesia.
Siamo andati avanti di questo passo circa sette anni, a volte non sentendoci anche per mesi, finché un giorno Filippo non ci chiama e ci dice che aveva scritto un libro “Zelda mezzacoda” e che ci invitava alla sua presentazione presso la libreria L’altra città, diventata anche una casa editrice. All’interno, al centro, c’era un bellissimo divano di velluto azzurro e un’immensità di libri per tutti i gusti. Non si poteva più sostare a lungo nei luoghi chiusi, siamo usciti fuori, era ottobre 2020 e ci siamo fatti prima una foto tutti e tre con le mascherine, molte cose erano cambiate nel frattempo. Poi, distanziati dalla vespa, ci siamo fatti un’altra foto a viso scoperto e forse abbiamo realizzato che potevamo fare anche un libro.